CARTA

La carta ci è venuta incontro come un destino. Non con il suo vuoto, ma con il suo pieno. Non con la sua superficie, ma con il suo spessore. Forse realizzando ciò che aveva in mente un maestro come Duchamp: non attraversando però, idealmente, il fronte di un cartoncino per raggiungerne il retro, bensì sfruttandone la densità, il volume, la corporeità materica. Sì, perché la carta ha un corpo, è un corpo. E come tutti i corpi ha una massa, un peso e tre dimensioni. La carta odora, la annusiamo, ne percepiamo gli intrighi che trama sotto le dita, suona quando facciamo frusciare con il pollice le pagine di un libro, leggiamo le storie che ci preserva, la luce ci rimanda i riflessi meravigliosi dei suoi colori e c’è anche chi se la mastica. La carta sollecita tutti i nostri cinque sensi a differenza di molti altri materiali.

La carta è un elemento portante della nostra civiltà. Potremmo pensare il nostro mondo senza questa materia così versatile, senza questo flessibile veicolo di cultura e sapere? Di certo non sarebbe com’è, forse non sarebbe nemmeno.
Nei nostri lavori non utilizziamo la carta come supporto, non ci scriviamo, non la dipingiamo. Ci giochiamo la carta dello spessore, la terza dimensione, la superficie meno esplorata, così poco conosciuta. Ci esprimiamo con il suo lato meno nobile, impervio, e nonostante ciò, mezzo potente e generoso. Il nostro fare è, in qualche modo, uno scrivere laddove nessuno scrive, ovvero nel taglio davanti, che è la superficie del fascicolo dei fogli vista a libro chiuso.

Il vuoto che separa il fronte di un sottile foglio di carta dal retro… è qualcosa che merita di essere studiato! […]
Ritengo che, attraversando ciò che è più sottile, si potrà passare dalla seconda alla terza dimensione.

Marcel Duchamp, citato da Denis de Rougemont in
Marcel Duchamp, mine de rien