RIGHE

I pattern, i motivi ricorrenti nei nostri lavori sono le righe. Schemi combinatori di righe orizzontali o verticali. Serie di righe che visualizzano successioni numeriche matematiche. Righe curvate e curve a righe nelle nostre più recenti opere tridimensionali.
 Benché le righe siano elementi essenziali, minimali, hanno avuto e hanno ancora una  significativa valenza simbolica nella vicenda umana. Lo ha spiegato molto bene Michel Pastoureau. È a partire dal medioevo che le righe sono state associate al male, al perverso, al portatore di disordine, al non allineato. In Occidente, nell’ambito degli indumenti, le righe e i tessuti rigati sono stati espressione di marginalità e anche di infamia, hanno suscitato scandali, sono servite a marchiare minoranze ritenute pericolose o trasgressive, sono state indossate dalle prostitute, dai malati contagiosi, dagli ebrei, dagli eretici, dai buffoni, dai boia fino al diavolo in ogni sua raffigurazione. Con il rinascimento e il romanticismo le cose cambiano, le righe assumono anche valori positivi, rimandano alla libertà, alla giovinezza, al progresso, all’esotismo, ma il loro essere uno stigma della sovversione e del male rimane, basti pensare ai carcerati o ai deportati nei campi di concentramento.
Ci sono dunque righe buone e righe cattive. Tra le buone di sicuro quelle degli artisti delle righe, delle linee, delle stripes: Barnett Newman, Dan Flavin, Gerhard Richter, Daniel Buren, per citarne alcuni.

Indossare un capo rigato, esibire un vestito a righe non è un gesto neutro né tantomeno naturale. Per farlo bisogna essere quasi sfacciati, vincere la timidezza, non aver timore di mettersi in mostra, ma chi osa sarà ricompensato con l’accesso allo chic, l’elegante distinzione delle persone libere, disinvolte e raffinate.

Michel Pastoureau, La stoffa del diavolo